Dopo New York, Londra e Milano, il fashion system ‘vola’ nella capitale incontrastata dell’Alta Moda, Parigi. Ed ecco che la consueta sessione settembrina di sfilate si conclude all’ombra della Torre Eiffel. Rimaniamo sempre interra gallica, ma voliamo in un viaggio metaforico con gli stilisti asiatici: Yohji Yamamoto, Issey Miyake, Comme des Garçons.

Il designer giapponese Yamamoto sceglie l’Hotel de Ville come nuova location per la sua sfilata. Non c’è spazio per il colore; un ‘non colore’ regna con spudorata supremazia sulla passerella, il nero. Questo prende vita in tutta la sua solennità attraverso sapienti drappeggi, tagli e sovrapposizioni. Sovrapposizioni non solo di materiali, esse trascendono la pura sartorialità ma sovrapposizioni di tradizioni, culture e atmosfere. Gli abiti bustier si accompagno a sottogonna rigorosamente a vista, quasi come se fossero ‘abiti fantasma’ che timidamente si svelano al presente.

I colori, ci sono quasi tutti, le forme sono varie e vivono a prescindere dal copro che le indossa. Issey Miake propone una collezione color block e di ‘stampo’ 3D. Il 3D però, questa volta, è riproposto attraverso la tecnica del ‘baked stretch, che crea sugli abiti una plissettatura ondulata che si confà al motto, tanto caro alla stilista… ‘pleats please’. Il ‘baked stretch’, è una tecnica che consiste nello stampare una speciale colla sul tessuto per poi metterlo in una sorta di forno in cui le alte temperature fanno espandere la colla modellando il tessuto in un’arricciatura permanente.

Completiamo il viaggio in Asia con una maison dal nome francese ma dall’animo interamente giapponese. La creatività di Rei Kawakubo, designer di Comme des Graçons, va al di la del sistema moda. La sua passerella, più che un susseguirsi di abiti, è una performance artistica con i suoi sacri rituali. Come il duo di stilisti Viktor & Rolf, anche Kawakubo, appartiene ad una categoria di designer ‘superiore’ che fonde arte e moda. L’ispirazione di questa collezione è una ‘blue with’, una figura fiabesca dai capelli fiammeggianti e avvolta in abiti che sembrano il frutto di incantesimi. Abiti bozzoli, dalle forme non definite, dai ‘materiali concerti’. Tramite la presenza delle piume, le modelle, appaiono come i volatili di un mondo fantastico. Se ci fosse una voce narrante, la collezione sembrerebbe quasi un libro di favole, dalle pagine infinite, dalla visione di un mondo senza alcun confine realistico.

E’ da anni che la maison Valentino, sfila a Parigi, e Maria Grazia Chiuri e Pierpaolo Piccioli, portano la sartoria romana in giro per il mondo, ambasciatori di un made in Italy ammirato e imitato. Dicono della propria sfilata: ‘Volevamo raccontare a modo nostro il periodo storico che stiamo vivendo’…e come lo hanno fatto? Ispirandosi al continente africano. L’Africa madre di civiltà e cultura, dilaniata dal profondo nel tempo, diventa il paradigma di una società anch’essa dilaniata ma dalle mille possibilità di riscatto. Gli abiti diventano dunque, il ‘manifesto’ di questa voglia di riscatto. La loro personale estetica si rifiuta di adeguarsi a qualsiasi folklore. Leoni, gazzelle e tigri diventano ‘dipinti e decori’ sugli abiti, le frange sono fluttuanti, i ricami di perline arricchiscono cappotti dal taglio rigoroso e si posano su pizzi, tulle e seta trasparenti, quasi come se fossero tatuaggi. Le piume Masai diventa accessori gioiello. Si respira un’atmosfera di ricchezza, non canonica e non espressa, in questo caso parliamo di ‘ricchezza culturale’ che la storia, o meglio l’uomo ahimè, tenta di cancellare senza alcun ritegno e segno di riconoscenza.

Se volessimo accostare una canzone alla sfilata di Saint Laurent, sicuramente sarebbe pescata da un album di Courtney Love. Diventa difatti musa ispiratrice del designer Hedi Slimane per questa collezione. Sfilano giovani fanciulle dall’aspetto sfacciatamente rock con tiare, slipdress e Wellington boots. Il designer continua a modificare i tradizionali accenti della storica maison francese aggiungendo personali tasselli in un puzzle completamente nuovo. Fresca di un eccezionale successo di vendita, Saint Laurent propone una collezione fast, sexy e giovane, che mischia atteggiamenti da high socety ad altri d’impronta street. Mescola atteggiamenti femminili ad altri puramente maschili. Il tocco glamour è dato dall’inserimento di alcuni capi della nuova linea Couture, recentemente lanciata.

John Galliano, recentemente passato alla guida di Maison Margiela, mette in scena una ‘collezione ibrida’. Galliano e Margiela, sono accomunati da una intensità stilistica che non passa di certo inosservata. Padroni di un’estetica, che trascende qualsiasi canone stabilito e naturale, il prodotto di questa commistione di elementi è meraviglioso. Perché ‘collezione ibrida’? Perché negli abiti proposti si mescolano elementi cari all’eleganza anni ’50, ad elementi classici del mondo asiatico, in particolare quello giapponese. Il tutto è contornato da un’atmosfera humor, che si tramuta anche nell’uso di materiali come la gommapiuma che si mischia all’organza, il cloquè che si accompagna al nylon e il neoprene che fa da sfondo. Materiali e mood tra di loro antitetici ed anacronistici, che si fondono però in un ibrido di affascinante bellezza.

Hermès per definizione storica è sinonimo di lusso. Ma questa volta per la Primavera \ Estate 2016 Nadège Vanhèe-Cybulski propone un lusso sotto tono, elegante, mai eccessivo, estremamente contenuto. In un’era fatta di eccessi straboccanti e della quantità piuttosto che della qualità, questa estetica si defila discretamente dal mondo. Piena di una sicurezza fuori dal comunque, gli abiti si reinterpretano, vivono, si cibano della personalità della donna che li indossa. Sono del parere che il lusso, quello vero, non debba essere chiaro e visto, esso deve essere percepito autonomamente, senza alcuna domanda e risposta, deve essere ‘odorato’ con timidezza ed Hermès ha soddisfatto questa mia necessità.

Giambattista Valli, il designer dei sogni fatti realtà per l’haute couture, propone invece per il ready to wear, una collezione concreta e tangibile. Rivisita gli anni’60, nei tagli, nel fit, nei colori e nelle forme in maniera quasi nevrotica, attraverso uno studio approfondito dei materiali e delle stampe. Il risultato è un armadio composto da  minidress, camicie, abiti da sera, leggeri, dotati di un’eleganza fatta di passato ma che strizza l’occhio al presente senza mezzi termini.

Per la sfilata di Chanel, tenere il passaporto ben in vista. Difatti il Grand Palais, per l’occasione si trasforma nel terminal aeroportuale più chic del pianeta. La Chanel Airlines, accoglie dunque i ‘suoi passeggeri’ tra modelle\hostess, steward e gate. La collezione proposta da Karl Lagerfeld, si adatta pienamente alla location. Abiti sportivi, must have della maison dissacrati e riproposti in chiave giocosa. Sempre meno francese ma di aspirazioni sempre più internazionali, la ‘nuova moda’ di Chanel, propone un’eleganza che è influenzata sempre di più dai social e dallo street.

Olivier Rousteing, giovane direttore creativo di Balmain, non fa mistero del suo amore nei confronti di una femminilità dirompente, sensuale e intricante. I colori  e i materiali sono al tempo stesso ‘lussuriosi e lussuosi’, insieme a tagli e fit che lasciano trasparirei senza alcun ‘pudore’ le forme del corpo femminile con una sicurezza a tratti aggressiva. Dal sapore vagamente anni ’80, periodo storico caro allo stilista, sulla passerella non c’è spazio per i mezzi toni. Tutto è deciso, dai colori, verde smeraldo, tabacco, nero avorio, arancio,  fino ai fit e ai tagli tagli, che sugli abiti serali diventano unico motivo di decoro. 

Luigi Frajese