Scendete di casa, recatevi nella prima sala cinematografica che riuscite a trovare e regalatevi due ore di tempo per guardare The Danish Girl.
Tratto da una storia realmente accaduta, quella del pittore Mogens Einar Wegener divenuto poi Lili Elbe, prima persona ad essere identificata come transessuale e prima ad essersi sottoposta a una serie di interventi chirurgici per cambiare sesso.
Siamo agli inizi del Novecento, in Danimarca, immersi nell’ ambientazione e nell’arte del tempo. Eddie Redmayne (Einar) e Alicia Vikander (Gerda) sono i volti che danno vita alla storia, entrambi nominati, rispettivamente, per gli Oscar 2016 nelle categorie miglior attore protagonista e miglior attrice non protagonista.
La pellicola si apre sull’idillio dei due protagonisti, sposati nel 1904; la complicità di coppia, l’amore che li lega e la passione per l’arte inducono Gerda, che prima di allora non si era mai resa conto delle tendenze del marito, a far posare Einar come ballerina per un suo ritratto.
L’incontro di Einar con il tessuto delle calze prestategli da Gerda è qualcosa di incomprensibile che fa scattare in lui qualcosa. Il film assume un tono di ilarità quando la moglie decide di far travestire Einar da donna ad una festa, nonostante lo avesse già trovato con abiti da donna sotto quelli maschili. Neanche la spiccata capacità del marito per il trucco o per la moda è servita a destare un campanello di allarme in Gerda che, invece, pensava di avere accanto Mr Virilità 1900.
Il nome che i due decidono di dare al travestimento di Einar è Lili. L’ilarità prosegue quando, alla festa, nessuno sembra far caso al fatto che la donna che accompagna Gerda è in realtà un uomo. La camera focalizza spesso l’attenzione sulle mani dell’attore, quasi come se la grazia che quest’ultimo utilizzasse nei gesti e nelle movenze potesse servire a nascondere i tratti distintivi di una mano mascolina.
Solitamente in una donna viene notato anche un pelo suerfluo, e qui non si vede nemmeno un accenno di barbetta, di peluria, niente!
In The Danish Girl sembra di essere in un ritratto in moto, c’è un incredibile cura della ricostruzione d’epoca e le nomination alla statuetta per Ewe Stewart (scenografia) e Paco Delgado (costumi) sembrano quasi obbligate. Si affianca la magistrale regia di Tom Hopper, con cambi di fuoco all’interno della stessa inquadratura e cambi di ottica che talvolta rendono i protagonisti più distanti, come se fossero isolati.
Tuttavia va assolutamente detto che l’intero prodotto è affidato alla recitazione dei due protagonisti: Eddie Redmayne, chiamato ad ‘interpretare’ una “trasformazione”, mutando il suo corpo e le sue espressioni, incredibile nel trasmettere allo spettatore la sofferenza e il disagio provato dalla sua condizione. Ma il vero fulcro del film è senza ombra di dubbio Alicia Vikander, che riesce a scrivere tutto con i suoi occhi e il suo viso, piccolo ed espressivo. In lei riusciamo a percepire la “carnalità” della sofferenza. Seguiamo quegli occhi che da vispi si incupiscono, producendo un velo di lacrime fatto di forza e sconforto, conferendo alla Gerda della Vikander tutti gli accenti dell’amore.
Un film che decide di trattare un tema per molti ancora spinoso, un argomento delicato per alcuni aspetti e di forte impatto emotivo per molti altri. Quella di Lili Elbe è una storia dolorosa, di sofferenza personale, mentale, e soprattutto fisica. Il tutto mostrato in maniera ineccepibile dagli attori.
Il fulcro centrale intorno al quale il regista decide di incardinare la storia è ‘come comportarsi con chi si ama’: aiutarlo nella propria strada pure se questa prevede un allontanamento oppure tenere l’amato stretto a sè creandogli dolore? The Danish Girl conosce la risposta, ma è il modo in cui risponde che è una grande testimonianza di vita.
Giovanna Montano