Intervista a Heath Kane. L’artista fa del colore la propria impronta creativa
Prima di tutto grazie per averci concesso quest’intervista. Puoi presentarti ai nostri lettori?
Sono un’artista nato in Australia ma attualmente vivo in Regno Unito. Il mio lavoro (già presentato QUI) si basa su temi di attualità e sulla rappresentazione di icone del nostro tempo che perlopiù tendo a ritrarre con colori sgargianti pur trattandosi molto spesso di tematiche e personaggi tutt’altro che luminosi.
La mia carriera ha inizio con il design, negli ultimi due decenni ho lavorato con importanti brand in giro per il mondo e si può dire che l’arte sia un qualcosa alla quale mi dedico relativamente da poco, saranno circa due anni e mezzo.
Credo che questo limite non definito tra design e arte non sia molto lontano dalla sensazione che si ha per esempio quando lasci il tuo paese per crearti una vita in un altro posto come nel mio caso. Queste ‘zone grigie’, questo non essere un qualcosa di definito, sono una costante nella mia vita e inoltre penso che abbiano un ruolo importante nella mia arte.
Parlaci un po’ del tuo background artistico e di quando hai realizzato di poter vivere grazie al tuo lavoro…
Diciamo che sono arrivato all’arte per caso, probabilmente grazie a mia moglie. Non ho avuto una formazione artistica, semplicemente credo di avere una grande immaginazione e una forte curiosità verso tutto ciò che mi circonda, molta di più di quanta ne avessi da giovane. Ma le uniche abilità che ho restano quelle apprese durante la mia carriera da designer. All’inizio dell’anno ho creato una società per rendere la mia arte una vera e propria attività. Insomma, non è più solo un semplice hobby ma comunque non posso dire di vivere solo di questo e non so se mai potrò farlo, in ogni caso per ora godo del fatto di potermici dedicare. Questo è stato reso possibile dalle persone che hanno creduto in me e da chi ovviamente acquista le mie opere. In tutta onestà, l’unica persona che sto cercando di soddisfare con il mio lavoro è me stesso ed è per questo che mi sorprendo quando riesco ad arrivare anche ad altre persone. Diciamo che non produrrei mai nulla che io stesso non appenderei al muro di casa mia e, naturalmente, anche in questo mia moglie ha un ruolo fondamentale.
Che tipo di processo creativo c’è dietro i tuoi lavori?
Mi piace definirlo ‘processo euristico’,ovvero mi affido alle circostanze e imparo facendo. Quando ho un’idea, mi prendo del tempo per capire cosa sia necessario per renderla al meglio: studio i materiali, i costi di produzione, parlo con i serigrafisti.
Orson Wells diceva:
“Il nemico dell’arte è l’assenza di limiti.”
Quindi uso quei limiti come parte del mio processo, come opportunità piuttosto che come vincolo.
Per quanto riguarda invece la mia fonte di ispirazione, posso dire che probabilmente questa venga da un processo di osservazione verso alcuni aspetti della vita, verso i problemi che affliggono ogniuno di noi, guardo come il mondo stia cambiando e come molte persone si sentano frustrate.
Ad esempio, il primo pezzo che ho prodotto è stato Rich Enough to be Batman, raffigurante la regina Elisabetta che indossa una maschera di Batman. Ecco la mia intenzione era far riflettere le persone sulla ricchezza e le sue conseguenze. In altre parole, se tu avessi abbastanza soldi saresti diventato Batman, usando i tuoi soldi per eliminare il male e proteggere gli innocenti? Oppure saresti finito ad usarli per vivere tra lussi e privilegi?
L’idea mi è venuta leggendo il Sunday Times Top 100 Rich List che viene pubblicato ogni anno. Onestamente non ho mai capito lo scopo di questa lista, non so se lo fanno per celebrare il successo delle 100 persone più ricche del mondo o semplicemente per sbatterci in faccia il fatto che tutto ciò sia lontano anni luce da noi e dal nostro contesto.
Poco dopo comunque ho iniziato a lavorare alla serie Masks of Fear, osservando le tendenze emergenti che subodoravo a quel tempo. Diciamo che questa serie è stata una sorta di presagio visto che è stata creata prima che venisse eletto Donald Trump, prima dell’intervento russo nelle elezioni statunitensi e prima dell’assassinio piuttosto sospetto di KimJung-nam.
Le tue opere sono molto pop e rappresentano una critica a tinte fluo verso il mondo di oggi. É come se ci dicessero: “Ehi sono qui, guardami!” Ma tu cosa stai cercando di mostrarci?
Sono più per la sostanza che per lo stile. L’idea di essere classificato come ‘pop-art’ non è un’etichetta che credo possa descrivere il mio lavoro ma capisco che comunque rientri in questa categoria. Penso che la mia arte appartenga più alla sfera dell’arte attivista, in quanto tutti i miei pezzi trattano perlopiù tematiche politiche e sociali.
L’uso di inchiostri neon / fluorescenti rappresenta una sorta di tag, una firma ma anche uno strumento che utilizzo per catturare l’attenzione della gente con un falso senso di felicità. Un esempio di questo è In Brands we Trust, dove il rosa fluo invita a guardare la figura gentile della Madre Santa per poi scoprire che in realtà ha la testa di Mailbu Barbie ™. Dietro l’apparenza spiritosa ovviamente si nasconde una domanda più profonda sul consumismo; è questo che mi differenzia dalla Pop Art: mentre la Pop Art tende a feticizzare il consumismo, nel mio caso si tratta più di una sfida.
Noi amiamo quello che fai e il modo in cui lo fai, perchè riesci ad essere critico ed ironico allo stesso tempo. Come nasce l’idea di far indossare ai tuoi personaggi una maschera?
Da designer sono sempre stato affascinato dalla filosofia di ‘Smile in the Mind’, un libro del 1996 scritto da David Stuart e Beryl McAlhone. Questo testo è diventato una sorta di riferimento per molti designer che cercano di trovare un modo intelligente e spiritoso per comunicare idee. Leggendolo capisci che per ottenere questo risultato il segreto è applicare la teoria del “1 + 1 = 3”, ovvero, pensare che quando due cose si uniscono ne creano una terza. Anche se non è chiarissimo in un primo momento, lo spettatore deve talvolta decodificare ogni parte per capire l’equazione e naturalmente se questo funziona il risultato è un bel ‘sorriso della mente.’
Cerco di applicare questa tecnica alla maggior parte del mio lavoro. È particolarmente utile per portare il pubblico oltre il livello superficiale di alcuni dei temi che tratto e per facilitare questa transizione spesso l’umorismo aiuta.
Lo scrittore italiano Lugi Pirandello diceva:
“Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti.”
Pensi che sia davvero così difficile incontrare un volto vero?
Penso semplicemente che viviamo in un’epoca digitale dove l’identità e la verità rimangono un grande punto interrogativo ma credo che sia più importante che mai cercare la verità e farlo per se stessi. D’esempio in Masks of Fear ho analizzato come certi leader mondiali, che vengono presumibilmente nominati per rappresentare il loro popolo, possano diventare invece così nocivi e dannosi. Ma la domanda è: che cosa c’è dietro le loro campagne del terrore?
Sappiamo che qualche mese fa uno dei tuoi personaggi mascherati è apparso sulla copertina dell’edizione speciale di Wired Italia, in occasione della premiazione come Best Magazine of the Year. Puoi parlarci di questa collaborazione?
Sì esatto, di recente ho avuto la fortuna di poter vedere le mie opera sulla copertina di Wired Magazine, oltre ad una serie di immagini commissionatemi per uno degli articoli. Sono rimasto molto sorpreso quando ho letto la mail in cui mi chiedevano una collaborazione e, siccome sono sempre stato un fan di Wired, ho accettato con piacere. Mi hanno messo in contatto con l’agenzia che ne gestiva la pubblicazione. I ragazzi del team sono stati veramente incoraggianti anche se ho avuto solo due giorni per creare i pezzi che accompagnavano l’articolo scritto da Nadezhda Tolokonnikova delle Pussy Riot.
Inutile dire che per me è stato un grande privilegio essere stato scelto per la copertina dell’edizione che annunciava la proclamazione di Wired Italia come Best Magazine of the Year. Mi dissero che questa è stata la prima volta che pubblicavano in copertina un leader politico e per di più rappresentato in maniera così provocatoria.
I personaggi che rappresenti nelle tue opera sono tutte icone del nostro tempo. Se potessi consegnare uno dei tuoi poster a qualcuno in persona, chi sceglieresti?
Segretamente ho sempre immaginato di poter dare al principe Harry una copia di Rich Enough to be Batman, solo per vedere la reazione di sua nonna,’Sua Maestà la Regina’, vedendola appesa al muro della sua stanza.
In realtà mi piace che il mio lavoro sia accessibile a tutte le tasche ed è per questo che ho prodotto un sacco di edizioni ‘abbordabili.’
Mi diverte però l’idea che un giorno il mio lavoro, che mette in discussione proprio la ricchezza e il potere, possa essere venduto all’asta a dei ricchi collezionisti d’arte che si domanderanno: “Sono abbastanza ricco da essere Batman?
Se ti chiedessimo di immaginare un opera che rappresenti l’Italia, critiche incluse: come lo faresti?
L’Italia è uno dei miei paesi preferiti. Non c’è quasi nulla di brutto nel vostro paese. Da persona interessata all’attivismo, in Italia c’è una lunga tradizione di rivolte studentesche alla fine degli anni ’60 fino ad oggi con il Movimento Cinque Stelle. Ma ciò non toglie che c’è sempre spazio per aggiungere Silvio Berlusconi a una delle mie collezioni. Potrei pensare a un’edizione speciale Bunga bunga se venisse eletto di nuovo.
Caro Heat ti assicuriamo che purtroppo anche senza Silvio non mancheranno gli spunti creativi…
Potete visitare il sito di Heath Kane cliccando QUI.