Phil Knight, fondatore di Nike, dispensa consigli di leadership da prendere alla lettera
“Le dissi che non volevo a nessun costo lavorare per qualcun altro. Volevo costruire qualcosa che fosse mio, qualcosa da poter indicare e dire: l’ho fatto io. Era l’unico modo che conoscevo per dare un senso alla vita”.
Così Phil Knight, in pensione dal 2016, decise di fondare Nike, insieme al suo ex allenatore di atletica Bill Bowerman. La prima società portava il nome di Blue Ribbon Sports – che importava scarpe giapponesi Onitsuka e le rivendeva negli Stati Uniti . Subito arrivarono i primi dipendenti e soci con i primi negozi aperti nel Paese. Poi le star dello sport come testimonial, la sfida con Adidas, i problemi di liquidità finanziaria e quelli più personali: un percorso che viene raccontato in prima persona e in maniera appassionata nel suo libro autobiografico L’arte della vittoria.
Cosa rappresenta oggi la Nike
1. “Se la mia vita doveva essere tutta lavoro e niente gioco, volevo che il mio lavoro fosse un gioco”
Queste sono le parole di Phil Knight. Nel caso del colosso Nike era sicuramente più facile trattare il lavoro come un gioco. Ma quello che forse non tutti sanno è che lo stesso Knight cominciò come contabile in alcune imprese tra cui Price Waterhouse. Ma quello che faceva la differenza era come lui stesso si sentisse. “Non che la odiassi; era solo che non mi rappresentava. Volevo quello che tutti vogliono. Essere me stesso, a tempo pieno.”
Se anche tu ti senti in questo modo allora è il momento di cambiare. Fu infatti in quel momento che lui decise di unire la passione per l’atletica leggera e lo sport con il suo spirito imprenditoriale fondando la Blue Ribbon Sports, nel 1964, e diventata poi Nike sette anni più tardi. Il suo team era composto da coloro che “non si adattavano alle stupidaggini aziendali. Quelli che volevano fare del lavoro un gioco. Ma anche dargli senso.”
2. “Cameratismo, lealtà, gratitudine. Persino amore”
Le riunioni del team erano soprannominate Buttface(“facciadaculo”): “Coglieva l’atmosfera informale di quei ritiri, dove nessuna idea era così inviolabile da non poterla dissacrare e nessuno era così importante da non poterlo ridicolizzare, ma riassumeva anche lo spirito, la mission e la cultura aziendale. […] Cameratismo, lealtà, gratitudine. Persino amore“. A volte le riunioni proseguivano fuori dagli uffici, in un bar chiamato Nido del Gufo in cui discutevano “fino allo sfinimento, parlando tutti insieme, un rito corale di nomi e dita puntate, il tutto reso più rumoroso, divertente e a volte anche più chiaro dall’alcol.”
Un messaggio per dire che chi vuole fa. Se lo vuoi davvero, puoi farlo!
3. “Non dire mai alle persone come fare le cose”
Sono molte le regole infrante da Nike nella gestione tradizionale di un’azienda. Emblematica una conversazione con il suo primo dipendente Johnson che veniva sballottato di frequente in tutto il Paese per seguire i piani audaci di Knight: “«È la cosa più folle che abbia mai sentito» commentò. «A prescindere dalla scomodità, a prescindere dalla follia di trascinarmi di nuovo sulla East Coast, ma che ne so io di come si dirige una fabbrica? Non saprei da che parte cominciare». Mi misi a ridere. Risi e risi. «Non sai da che parte cominciare?» Dissi. «Non lo sai? E quando mai qualcuno di noi l’ha saputo? »”.
A Knight piaceva anche riassegnare i ruoli in azienda spostando un dipendente dal dipartimento legale al marketing, “per toglierlo dalla confortevole routine del lavoro, come amavo fare di tanto in tanto con tutti per evitare che si adagiassero”. Ma soprattutto: “Non dire mai alle persone come fare le cose. Dì loro cosa fare e ti sorprenderanno con la loro ingegnosità“.
La regola è che tutti sono utili.
4. Non solo di profitti vive un’azienda
La cultura d’impresa di Knight può sembrare banale, ma come non condividerla? “Mi rendo conto che per alcuni fare affari significa perseguire il profitto a oltranza, punto e basta, ma per noi, dire che il nostro solo scopo era fare soldi era come dire che il solo scopo di un essere umano è produrre sangue. […] Come tutte le grandi aziende, anche noi volevamo creare, contribuire, e avevamo il coraggio di gridarlo. Quando fai qualcosa, quando migliori qualcosa, quando fai nascere qualcosa, quando aggiungi una cosa o un servizio nuovo alla vita degli altri, rendendoli più felici, o più sani, o più sicuri, o migliori, e quando lo fai in modo in incisivo ed efficiente, in modo brillante, nel modo in cui si dovrebbero sempre fare le cose – anche se è raro che sia così -, partecipi con maggiore pienezza al grande dramma di tutta l’umanità. Anziché vivere e basta, aiuti gli altri a vivere più pienamente, e se questo è fare affari, bene, allora chiamatemi un uomo d’affari“.
La più classica di tutte le regole: Fai quello che ami e non lavorerai un solo giorno in tutta la vita.
5. Seguire la propria vocazione
Knight chiude la sua autobiografia con alcuni suggerimenti per tutti quei giovani che vogliono fare impresa. “Direi a quelli che non hanno ancora trent’anni di non accontentarsi di un lavoro, di una professione, e neppure di una carriera. Di cercare una vocazione. Anche se non sanno cosa significa, la devono cercare. Seguendo la propria vocazione, la fatica sarà più facile da sopportare, le delusioni fungeranno da carburante, e proveranno soddisfazioni mai provate prima. […]. E quelli che invitano gli imprenditori a non rinunciare? Sono ciarlatani. A volte devi rinunciare. A volte, sapere quando rinunciare, quando provare qualcos’altro, è un colpo di genio. Rinunciare non significa fermarsi. Non fermatevi mai“.